Tessuti nuovi generati da materiali organici, collezioni upcycled, vintage e mercati di seconda mano: tematiche che delineano un nuovo tipo di consumo ma anchedi produzione. In una società dove il fast fashion sembrerebbe ormai aver preso il sopravvento, è necessario ripensare all’intero sistema moda. Alla luce di dati allarmanti, l’adozione di un approccio sostenibile si rivela essere pertanto una vera e propria esigenza.
Nel backstage della sostenibilità, in particolar modo nel comparto moda, vi sono molteplici strumenti che nel tempo hanno permesso alla componente green di emergere e ad oggi di evolvere. Tra i meno noti, ma non meno importante
il diritto ha giocato dal principio un ruolo fondamentale nella definizione e nella disciplina del concetto di “moda sostenibile”.
Diritto e moda sostenibile, un legame di lunga durata


Se le aziende dell’industria tessile hanno adottato con fervore un vero e proprio approccio green solo pochi anni fa, il legame tra diritto e moda sostenibile non è poi così recente.
Trattasi in realtà un sodalizio storico presumibilmente risalente alla Roma antica, seppur l’odierno significato di sostenibilità, vestito nel tempo di sfumature ed esigenze differenti, sia notevolmente mutato.
Si riconduce al 215 a.C. la promulgazione della Lex Oppia.
In una Roma reduce da numerose guerre ed in grave crisi economica, la necessità di ripristinare i fondi da destinare al patrimonio bellico diede vita ad una legislazione limitativa di eccessi e sfarzi. In chiave alternativa ai problemi che ad oggi genera il comparto tessile, sin dalle origini la moda è dunque vista quale fonte di spreco e consumo ostentato che si è tentato di fronteggiare con leggi e regolamenti.
La Lex Oppia fu abolita nel 195 a.C. ma il medesimo intento rimase invariato nei secoli successivi.


Si deve infatti all’età classica la nascita delle c.d. Leggi suntuarie, la cui dedizione è insita nel loro nome. “Suntuario” deriva infatti dal latino “sumptuarius”, da “sumptus”, ossia spesa. Prassi consolidatasi nel Medioevo e resistita fino al 700, le Leggi suntuarie vennero pertanto applicate al fine di regolare gli eccessi di una aristocrazia smodatamente attratta dal lusso.
In che modo?
Dette leggi prevedevano sanzioni principalmente di carattere pecuniario per chi non rispettasse il dettato normativo. L’utilizzo e la quantità di materiali preziosi, la lunghezza degli strascichi nonché la composizione dell’abbigliamento nel suo insieme, erano solo alcune delle disposizioni. Limitazioni e divieti quindi che, seppur soggetti a raggiri ed espedienti, convergevano tutte in un medesimo intento: ridurre, se non evitare, i consumi.
Il nesso tra limitazione dei consumi allora e moda sostenibile oggi è un fil rouge sfociato in un progetto più ampio che continua tuttora ad esplicare un ventaglio di benefici.
Che legame c’è tra diritto e moda sostenibile oggi?
Se i provvedimenti normativi sopra menzionati miravano in qualche modo a circoscrivere le spese incontrollate dell’aristocrazia a profitto delle casse comuni, tali interventi sembrerebbero aver prolungato i propri effetti nel tempo. Spostando l’attenzione al consumatore medio odierno, questo risulta essere sempre più attento, sensibile e consapevole dei riflessi che un acquisto disinformato comporterebbe, e quindi meno prono ad un consumo incontrollato. Seppur bisognoso di ulteriori interventi che convergano nella nascita di una tutela ad hoc, quello tra moda, sostenibilità e diritto resta un legame storico, solido e persistente nel tempo.
Sono diverse le riforme ed i provvedimenti attuati e in adozione. Si ricorda per esempio il nuovo piano d’azione votato dal Parlamento europeo nello scorso mese di febbraio, per incentivare un fascio di comportamenti virtuosi a sostegno di un’economia circolare. Ed il comparto moda, particolarmente interessato da detti interventi, ha gradualmente abbracciato ed adottato un approccio sostenibile. Dalle grandi aziende del lusso firmatarie del Fashion Pact presentato a Biarritz nel 2019 (ad oggi oltre 60), alle piccole start-up e brand emergenti, si contano ad oggi numerosi players del settore che dalla sostenibilità hanno tratto un vero e proprio valore fondante.


Perchè il diritto è essenziale per la moda sostenibile?
Seppur all’apparenza polo opposto, il diritto è costantemente al servizio del comparto moda e lusso. Esso permette di regolare costantemente le diverse fattispecie generate da un settore in continua crescita ed espansione. Il diritto esplica infatti un vasto fascio di tutele: in primis verso il marchio stesso, in secondo luogo verso il consumatore finale. Non in ultimo, nei riguardi dell’operato nonché dell’operare di tutti i soggetti integranti la catena produttiva. L’adattamento di istituti giuridici alle specifiche situazioni genera un agglomerato di norme ed una conseguente tutela settoriale che vanno a consolidarsi nella nuova ed emergente branca del diritto della moda.
Sebbene ad oggi la moda sostenibile non goda di una tutela specifica, l’emergente necessità di contribuire alle esigenze del nostro pianeta, alle condizioni sanitarie e alle tutele giuslavoristiche di chi opera a livello produttivo nel settore, richiede un’estensione degli istituti giuridici vigenti.
“Made in Italy”, un’opportunità per la moda sostenibile?
“Made in Italy è un’espressione che evoca in tutto il mondo l’idea di prodotto italiano, ha acquisito nel tempo il sinonimo di garanzia di qualità, ricerca e tradizione propria di alcuni settori industriali del nostro Paese, come quello della moda o quello agroalimentare, solo per citare i più famosi”
Roggero in “Made in Italy e la tutela del marchio d’origine”.
In un mondo come quello della moda, in particolar modo quella sostenibile, l’indicazione d’origine svolge un ruolo fondamentale: contraddistinguere i prodotti di produzione nazionale, rispecchiante un savoir faire unico e ricco di storia, come quello dell’industria tessile italiana.


La normativa vigente in italia, riconosce e tutela il Made in Italy come: “il marchio previsto dalla Legge 350/2003, che lo lega al criterio selettore del Codice doganale comunitario del 1992; e il marchio introdotto dal D.L. 135/2009 (art. 16, comma 1) che tratta del cosiddetto full Made in Italy”, ovvero “100% Made in Italy”, denominazione attribuita e riconosciuta laddove “il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano”. Con la legge 55/2010 – nota anche come Legge Reguzzoni-Versace – vennero introdotte svariate disposizioni in tema di produzione e commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, avendo particolare cura nella riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani. La legge di cui trattasi regola i settori della cd. etichettatura obbligatoria, ovvero filiere in cui l’indicazione del luogo d’origine è obbligatorio, nonché il riferimento ad ogni fase lavorativa e produttiva, assicurando la tracciabilità dei capi stessi. Viene autorizzato l’utilizzo dell’indicazione esplicita “Made in Italy” per prodotti soggetti a fasi di lavorazione che siano svolte in larga prevalenza nel territorio italiano.
Ulteriore sostegno alla tutela del “Made in Italy” viene data dal Decreto Crescita (D.L. 30 aprile 2019, n. 34), recante tutela ai marchi storici e alla produzione italiana. Volendo sintetizzare, si evince che i criteri da rispettare affinché un prodotto venga considerato come prodotto in Italia quando questo sia fabbricato interamente sul territorio italiano.
Viceversa, se alla lavorazione di un capo hanno contribuito più Paesi, allora quest’ultimo deve essere considerato come originario del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale, ossia una fase finale della lavorazione ove il prodotto abbia preso le vesti della sua forma finale, rispondendo a particolarità e caratteristiche che lo rendono finito e completo, ovvero pronto per la commercializzazione.
Nel caso quivi in esame (la produzione di tessuti), esistono delle cd. regole di lista. Queste particolari disposizioni scandiscono e regolano i tipi di lavorazione a cui i capi devono essere necessariamente assoggettati. L’obiettivo principale è quello di rendere la filiera controllata, con particolare riferimento all’origine. In materia di filati, il confezionamento e le susseguenti fasi di rifinitura, debbono essere necessariamente svolte in un determinato territorio affinché l’indicazione d’origine corrisponda con quest’ultimo.
Moda sostenibile, una continua evoluzione?


“Ci si renderà conto che il ritmo con il quale abbiamo prodotto fino ad oggi è diventato insostenibile”, così affermava Marina Spadafora, coordinatrice di Fashion Revolution Italia, riferendosi all’impatto che la fashion industry sta avendo negli ultimi anni. Si tratta di una filosofia che sta travolgendo sempre di più i creatori di moda. Da Giorgio Armani al gruppo Kering, da Salvatore Ferragamo alla stilista inglese Stella McCartney, membro per ben diciassette anni del gruppo François Pinault che da anni promuove valori di sostenibilità nel mondo del lusso.
Ed ancora, negli anni addivenire, il celebre gruppo francese Lvmh promuoverà LIFE (Lvmh initiatives for the environment). Il progetto ha come obiettivo la protezione e la preservazione dell’ambiente e dei prodotti che ne derivano.
Come citato poc’anzi, il noto marchio fiorentino Salvatore Ferragamo, risulta essere uno dei primi brand italiani ad adottare un’etica sostenibile. Dal’utilizzo di materiali sostenibili a strategie di sviluppo innovative e moderne, l’obiettivo è diminuire le emissioni di CO2 ed il grave impatto ambientale.
Infine, è degno di essere qui citato è il protocollo Detox di Greenpeace. Valentino fu tra i primi ad aderirvi, attraverso una campagna diretta a minimizzare l’utilizzo delle sostanze chimiche nell’industria fashion. Svariate sono state le iniziative e battaglie animaliste, lotte che hanno spinto marchi come Prada, Gucci e Chanel a rallentare e fermare la produzione di pellicce, con l’ausilio di materiali diversi forniti dalla tecnologia.
“Oggi il valore di un’innovazione si misura non tanto attraverso il mero riscontro economico o il grado di novità che tale innovazione porta sul mercato, quanto attraverso il valore e i benefici apportati a livello sociale, ambientale e certamente anche economico”.
C. Dardana – “Come sta cambiando la moda, un viaggio nel futuro”
Secondo Francesca Romana Rinaldi, docente dell’università Bocconi, sostiene che: “le aziende sostenibili sono quelle che riescono a integrare etica ed estetica nella filiera e nelle singole attività di valore”, ed ancora, compendia in modo estremamente accurato quello che dovrebbero essere gli obiettivi futuri di una filiera mastodontica come quella a cui ci riferiamo: “bisogna investire nell’innovazione responsabile introducendo nuove tecnologie di intelligenza artificiale per migliorare planning e struttura delle collezioni”.
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