Lusso

Plastica e innovazione. La ricetta segreta di Swatch

La plastica è un materiale che inevitabilmente, in tempi moderni, porta l’immaginario collettivo al tema dell’inquinamento. Di recente c’è però chi, in linea con il proprio DNA di brand, quel materiale artificiale tanto acclamato un tempo quanto diffusamente demonizzato oggi, lo ha innovato ed evoluto. Creando l’alternativa che non c’era. È il caso di Swatch.

Swatch, la plastica e l’innovazione

Una pillola di storia può aiutare a comprendere la natura del fenomeno ed a pesare la visione della marca al tempo presente.

Nel 1983 Swatch irrompeva sul mercato lanciando un orologio Swiss Made totalmente inaspettato, rivoluzionando la storia dell’orologeria principalmente per due motivi:

  1. L’utilizzo della plastica per un oggetto non concepito con la logica dell’usa e getta
  2. La riduzione delle componenti del movimento da 91 a 51 pezzi

Una semplificazione risultato di un elevato processo di innovazione in grado già allora di portare i suoi benefici nell’ambito della progettazione e della produzione, con vantaggi anche ambientali.
Certo, al tempo ancora non si parlava di sostenibilità – al contrario erano gli anni dell’accelerazione – ma Swatch seppur probabilmente in maniera inconsapevole aveva già posto le basi per quella che a quaranta anni di distanza sarebbe divenuta una necessità.

Il risultato? Un successo senza precedenti.

Oltre 20 milioni di orologi prodotti e venduti nei primi due anni di vita del brand, saliti poi rapidamente a 50 milioni nel 1988, quantitativo raddoppiato da lì al 1991 e progressivamente aumentato fino alla iperbolica cifra di 333 milioni raggiunta nel 2006. Anno dopo il quale la marca ha smesso di comunicare (ma non di contare) la numerica del proprio successo. Cifre che lasciano ben immaginare il tenore del risparmio – anche in termini di impatto ambientale – generato dalla semplificazione di un progetto a dir poco senza precedenti.

Quarant’anni dopo l’innovazione è ancora la chiave vincente

Carlo Giordanetti, oggi membro del consiglio di amministrazione di Swatch Ltd. nonché Ceo dello Swatch Art Peace Hotel, è uno che Swatch lo conosce come le sue tasche.

Ci ha lavorato dal 1987 al 1992, poi dal 1995 al 2000, infine dal 2012 in avanti partecipando all’epopea della marca in qualità di direttore creativo. Per lui, oltre al brand, anche la plastica non ha segreti, perché se vuoi utilizzare al meglio un materiale lo devi prima di tutto conoscere. Parlando della plastica Giordanetti non si nasconde, anzi, a stupire è la sua franchezza:

“Non rinneghiamo la plastica e l’affezione che nutriamo nei confronti di questo materiale, considerato che ha contribuito a creare il successo di Swatch, però è chiaro che c’è il desiderio di creare soluzioni alternative e più in linea con i tempi”.

carlo giordanetti

E difatti è proprio nella plastica che Swatch, l’enfant terrible dell’orologeria, ha apportato oggi un’innovazione che strizza l’occhio al tema della sostenibilità: la bio-plastica.

La bio-plastica e la bio-ceramica di Swatch

Nell’agosto del 2020 Swatch ha infatti lanciato “1983” la prima collezione della marca prodotta in bio-plastica realizzata con olio ricavato dai semi del ricino.

Un’innovazione che ha richiesto diversi anni di studio e investimenti che garantisce elevati standard qualitativi. Ma che pone anche dei paletti.

Swatch è infatti da sempre un brand “design driven”. Una marca in cui cioè la creatività riveste un ruolo chiave e non è disposta a cedere a condizioni.

“Tutti i materiali nuovi hanno delle caratteristiche particolari e non tutto quello che si può fare con la plastica tradizionale si può replicare sui materiali biogenerati. È una questione di stile, in base al design che sviluppiamo scegliamo oltre ai colori anche i materiali da impiegare”, sottolinea Giordanetti parlando di impiego di nuovi materiali.

In soldoni, non consentendo ancora di ottenere colori sgargianti o trasparenze, da sempre firma estetica di Swatch, il nuovo materiale è ancora limitante e non rimpiazzerà nell’immediato la plastica tradizionale. Ma la strada è tracciata e l’innovazione continua frutto dell’incessante ricerca e sviluppo del brand aprirà presto a nuove possibilità. Anche sotto forma di nuovi materiali.

Ed è così che nella tavolozza delle innovazioni sviluppate da Swatch, oltre alla bio-plastica dallo scorso aprile si è aggiunta anche la Bioceramic. Un composto ottenuto miscelando due terzi di ceramica e un terzo di plastica di origine biologica. Una formula voluta non tanto per rendere bio un materiale già di per sé di origine naturale (nasce dalla polvere di ossido di zirconio cotta ad alte temperature) quanto per migliorarlo rendendolo più “elastico” nella sua composizione e dunque meno soggetto a rotture.

Non solo orologi

Ma se sul fronte del prodotto il passaggio verso i materiali sostenibili non può essere radicale, lo è invece a livello di packaging. Nel 2020 infatti l’azienda ha deciso di sostituire tutti gli astucci in plastica degli orologi Swatch con una nuova versione in paper foam, un materiale non solo riciclabile ma addirittura compostabile.

Come teniamo a sottolineare ai nostri eventi: la plastica non è il demone, lo è l’utilizzo sbagliato che se ne fa.

E qui Swatch ha dato un’eccellente testimonianza di come step by step, senza perdere la propria identità, si possa “intraprendere” la via della sostenibilità.

No Comments

    Leave a Reply

    Subscribe to my Newsletter

    Be the first to receive the latest buzz on upcoming contests & more!