Negli ultimi anni i fenomeni di emigrazione e immigrazione sono tra le sfide più discusse a livello internazionale. L’Italia non ne è esente, e spesso diventa protagonista non solo per spiacevoli dichiarazioni da parte di alcuni ministri, ma anche per essere tra i Paesi più coinvolti nelle tratte marittime intraprese da uomini, donne e bambini in cerca di vita e libertà.


Fenomeno sociale in base al quale singole persone o gruppi si spostano dal luogo d’origine verso un’altra destinazione, solitamente con la finalità di reperire nuove occasioni di lavoro.
Treccani
Questa è la definizione di emigrazione più utilizzata, e molto diffusa anche in Italia. D’altronde, sin dai tempi più antichi, la nostra società si è sviluppata su spostamenti periodici definiti dal “Nomadismo”. L’economia di sussistenza dipendeva dai clicli vegetativi e dagli animali da allevare e da cacciare, cruciali per la sopravvivenza e la riproduzione della specie. Inoltre, tra il 1900 e il 1915, più di 3,5 milioni di italiani emigrarono in cerca di lavori più redditizi e opportunità economiche migliori. Insomma, da sempre tutti i popoli in cerca di condizioni di vita migliori. Ma cosa c’entra questo fenomeno con il cambiamento climatico?
Che Legame c’è tra Emigrazione e Cambiamento Climatico?
I migranti climatici rappresentano una delle conseguenze più evidenti e drammatiche del cambiamento climatico.
Essi sono definiti come persone costrette a spostarsi dal loro luogo di residenza a causa degli effetti del cambiamento climatico, come l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione o la diminuzione delle risorse idriche.
Questa definizione, riconosciuta a livello globale, contiene in sé un’incoerenza: le persone che emigrano dovrebbero essere infatti definite come “profughi climatici“. Se il migrante si trasferisce altrove volontariamente, il profugo è costretto a scappare per cause di forza maggiore.
Tuttavia, dal punto di vista formale, il diritto internazionale non riconosce come categorie giuridiche né i “migranti”, né i cosiddetti “profughi” o “rifugiati” climatici. Queste espressioni infatti non si fondano su alcuna norma presente nel diritto internazionale. Ne consegue una totale assenza di accordi internazionali sulle misure di protezione specifiche per i migranti climatici.


Ma Quanti Sono I Migranti Climatici?
Secondo UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) dal 2008 ci sono 21.5 milioni di migranti climatici ogni anno, un numero destinato a crescere a causa dell’aggravarsi del fenomeno del cambiamento climatico. Questi migranti rappresentano una sfida per la comunità internazionale, poiché la maggior parte di loro non ha uno status giuridico riconosciuto ed è spesso costretta ad affrontare situazioni di vulnerabilità e discriminazione.
Ogni minuto si stima che ci siano 41 persone, prevalentemente donne, anziani, e bambini, costrette ad abbandonare la propria casa a causa del cambiamento climatico. Questi gruppi sono anche maggiormente esposti a rischi durante i loro spostamenti, come la violenza, lo sfruttamento e la tratta di esseri umani.
Nei prossimi anni questo numero è destinato a crescere: una persona al secondo sarà costretta ed emigrare.
Quali Sono i Paesi più Esposti Ai Cambiamenti Climatici?
Secondo diversi studi, i paesi più esposti al cambiamento climatico sono quelli situati in regioni tropicali e subtropicali, in particolare quelli in Africa, Asia e America Latina.
I principali fattori che contribuiscono alla loro esposizione sono:
- Vulnerabilità naturale: molti paesi in via di sviluppo hanno già climi estremi e sono situati in zone sismiche, vulnerabili a inondazioni, cicloni, siccità e altri eventi meteorologici estremi, che possono essere aggravati dal cambiamento climatico.
- Dipendenza da risorse naturali: le economie di molti paesi in via di sviluppo dipendono fortemente dalle risorse naturali ottenute da agricoltura, pesca e industria estrattiva; attività che possono essere colpite dal cambiamento climatico.
- Crescita demografica: molti di questi paesi hanno una crescita demografica rapida; un aumento della popolazione può intensificare la pressione sui sistemi alimentari e idrici, influenzati dal cambiamento climatico.
- Povertà e mancanza di infrastrutture: esse possono aumentare la vulnerabilità dei paesi al cambiamento climatico, limitando la loro capacità di affrontare gli impatti e di adattarsi alle nuove condizioni.
Secondo il Climate Risk Index 2021, i paesi più esposti al cambiamento climatico sono Myanmar, Mozambico, Bangladesh, Pakistan e le isole Haiti e Dominica. Tuttavia, anche i paesi industrializzati come il Giappone, la Germania e gli Stati Uniti possono essere esposti ad alcuni impatti del cambiamento climatico, come i disastri naturali o l’aumento del livello del mare.
Perché Il Diritto Internazionale Non Riconosce I Migranti Climatici?
Attualmente, i migranti climatici non sono riconosciuti dal diritto internazionale come una categoria giuridica distinta. Questo perché la definizione di migrante climatico non è ancora stata accettata a livello internazionale e non esiste un trattato internazionale specifico che riconosca i loro diritti. Inoltre, la questione dei migranti climatici è complessa e si sovrappone ad altre questioni legate all’immigrazione, come il diritto d’asilo e la protezione internazionale. Ci sono anche diverse opinioni sulle cause dei movimenti migratori e sul fatto che debbano essere considerati migranti climatici.
Il termine “rifugiato climatico” è formalmente altrettanto improprio poiché non è riconducibile alla definizione della Convenzione sui rifugiati di Ginevra (1951), secondo cui un rifugiato è “Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può […] domandare la protezione di detto Stato“. Non si può dimostrare infatti alcuna persecuzione dovuta al cambiamento climatico.
Argomentare che il cambiamento climatico sia “colpevole” di un fenomeno migratorio è una grossa sfida dal punto di vista legale: difficilmente, infatti, il nesso causa-effetto potrà essere argomentato davanti ad una giuria. Manca quindi un intero quadro legale di riferimento per tutelare le vittime dei disastri correlati al cambiamento climatico. Inoltre, spesso i migranti climatici si spostano all’interno dei propri confini prima di essere costretti ad abbandonare del tutto il proprio Paese.
“Nessun paese europeo – ad eccezione di Finlandia, Italia e Svezia – riconosce l’elemento climatico nel suo sistema di protezione. Questo rende molto difficile la creazione di un quadro giuridico comune a protezione delle “vittime del clima”.
Jean-Christophe Dumont, capo dell’OCSE
L’Unione Africana invece è più avanti in materia: ha infatti adottato la Convenzione di Kampala che è giuridicamente vincolante per la protezione e l’assistenza degli sfollati interni. Essa riconosce il cambiamento climatico come disastro “provocato dall’uomo” in grado di creare sfollamenti.
I territori più esposti dal punto di vista climatico sono anche quelli dove spesso scoppiano conflitti e vi è persecuzione razziale, culturale e politica. Proprio sulla base di questa constatazione, la comunità internazionale si dovrebbe muovere, indipendentemente dall’identificazione di un rapporto di causa-effetto tra clima e guerre.


Cosa Potrebbero Fare i Nostri Governi Per Aiutare i Migranti Climatici?
L’Internal Displacement Monitoring Centre raccomanda ai paesi europei di sviluppare politiche in cinque aree chiave.
- Sistemi di monitoraggio efficaci per meglio comprendere quali fasce della popolazione saranno più colpite dagli eventi meteorologici e dai disastri legati al clima, così da poter aiutare e supportare le persone più vulnerabili;
- Meccanismi di allerta migliori per dare alle persone un tempo sufficiente per essere evacuate in sicurezza; un allarme lanciato entro 24 ore prima della catastrofe è in grado di salvare moltissime vite e di ridurre i danni del 30%. Tuttavia solo un terzo dei paesi possiede un sistema di allerta efficace.
- Piani di evacuazione adattati ai nuovi livelli di rischio, il più possibile efficienti e dignitosi, realizzati in consultazione con i residenti;
- Migliore comunicazione tra le autorità locali e nazionali al fine di monitorare cosa accade agli sfollati nel lungo periodo e condividere i dati con le istituzioni e a livello internazionale;
- Migliore informazione disponibile alla cittadinanza, imparando da paesi extraeuropei abituati ad affrontare eventi meteorologici estremi come il Giappone.
È inoltre necessario sviluppare politiche e programmi che mirino a prevenire il cambiamento climatico e a mitigare i suoi effetti. Risulta cruciale migliorare la capacità di adattamento delle comunità vulnerabili ai cambiamenti climatici, in modo che siano in grado di affrontare meglio gli impatti negativi del cambiamento climatico e di minimizzare la necessità di spostarsi.
È altrettanto doveroso sviluppare politiche che riconoscano e proteggano i diritti dei migranti climatici, venendo protetti da abusi, discriminazioni e violazioni dei loro diritti umani. Vi è bisogno di un supporto tecnico e legale per sviluppare leggi nazionali e internazionali.
Promuovere una maggiore solidarietà e cooperazione internazionale è quindi vitale per affrontare il fenomeno dei migranti climatici. Ciò significa fornire sostegno finanziario e tecnico ai paesi più vulnerabili, promuovere la condivisione delle conoscenze e delle migliori pratiche per affrontare le sfide globali del cambiamento climatico. Questo include il supporto di attività sul campo per la prevenzione, la riduzione dell’impatto e la garanzia di risposte utili per gli sfollati.
Molti di questi punti possono essere risolti con il lancio del fondo Loss and Damage.
Cos’è il Fondo Loss and Damage?
Il Fondo Loss and Damage (per le perdite e i danni) è un fondo finanziario creato dalle Nazioni Unite per aiutare i paesi più vulnerabili ad affrontare le conseguenze del cambiamento climatico, in particolare le perdite e i danni che non possono essere prevenuti o evitati se non attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra o l’adattamento.
Si basa un un meccanismo molto semplice: chi inquina, paga. I Paesi in via di sviluppo sono infatti quelli che soffrono maggiormente i danni ambientali, economici e sociali a causa delle catastrofi naturali causate dalle elevate emissioni di gas climalteranti rilasciati dai paesi più industrializzati.
Il Fondo è stato istituito nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) durante la Conferenza delle Parti del 2013 (COP19) a Varsavia, in Polonia. Tuttavia per l’approvazione del Fondo è stato necessario il voto unanime, arrivato solo 9 anni dopo a causa dell’opposizione dei due paesi più inquinanti del mondo, Cina e Stati Uniti. Finalmente all’ultima COP27, tenutasi in Egitto lo scorso novembre 2022, è stato approvato il Loss and Damage. Sono ancora molti dettagli da definire, per esempio l’ammontare del fondo, chi dovrà pagare e chi invece ne beneficerà, ma la strada è quella giusta.


In Che Modo il Fondo Loss and Damage Può Aiutare i Migranti Climatici?
Il fondo è stato creato in risposta alle richieste dei paesi in via di sviluppo, che hanno sottolineato la necessità di un sostegno finanziario per affrontare gli effetti irreversibili del cambiamento climatico. In particolare, il Fondo per le perdite e i danni mira a fornire risorse per:
- Il ripristino delle infrastrutture essenziali come strade, ponti e edifici distrutti dai disastri climatici
- La ricostruzione delle comunità colpite da eventi estremi del clima
- L’adattamento alle nuove condizioni climatiche, come l’aumento del livello del mare e la desertificazione
- La riduzione del rischio di eventi estremi del clima attraverso misure di prevenzione e mitigazione.
Tutti questi fattori aiuterebbero quindi a ridurre il numero di migranti climatici, supportando intere popolazione in attività di mitigazione, adattamento e reazione alle catastrofi ambientali nei propri territori.
Noi Italiani Potremmo Essere tra i Migranti Climatici?
Alcune regioni italiane sono già state colpite da eventi meteorologici estremi come alluvioni, frane, incendi boschivi e ondate di calore, che hanno causato danni significativi e costretto alcune comunità a evacuare le proprie case.
Inoltre, il cambiamento climatico potrebbe avere effetti negativi sulla produzione agricola e sui sistemi idrici del nostro paese, causando la riduzione delle risorse alimentari e idriche e potenzialmente portando a conflitti sociali ed economici.
In Europa, sono già centinaia di migliaia i migranti climatici che sono costretti ad abbandonare le proprie case a causa di disastri ambientali. Spesso però queste migrazioni sono invisibili e interne ai propri confini, rendendo quindi difficile il loro riconoscimento. Le zone rurali sono infatti più a rischio di quelle urbane, favorendo un esodo dei migranti climatici verso le città principali dei propri paesi.
Tuttavia, è importante sottolineare che gli italiani, come altri cittadini dei paesi europei e di quelli ad alto reddito come il Giappone, hanno maggiori risorse e capacità di adattamento rispetto ai migranti climatici provenienti da paesi più vulnerabili. Ciò non significa che il cambiamento climatico non rappresenti una minaccia significativa per l’Italia e i paesi industrializzati, ma che la sfida della migrazione climatica richiede soluzioni globali e una risposta coordinata a livello internazionale. I piani di mitigazione e adattamento sono ad oggi più efficaci e attuabili nei paesi sviluppati grazie a politiche e finanziamenti favorevoli, supportati da infrastrutture e attività di ricerca e sviluppo fondamentali per l’implementazione di soluzioni innovative e tecnologiche performanti.


Cover Image: Members of the Pacific Climate Warriors (Courtesy of Pacific Climate Warriors)
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